Un dollaro al giorno

"Forse li avete visti in televisione. Di sfuggita, per alcuni istanti, tra le dichiarazioni del premier di turno e un servizio sulle sfilate di moda. Dal vivo, da vivo, è un'altra cosa...Ne ho visti a centinaia. Morti per fame, guerre, malattie. Eppure dovremmo sapere che nel mondo globalizzato i nostri destini s'incrociano. Che le economie dell'Asia, dell'Europa e delle Americhe sono interdipendenti. Che le variazioni dei corsi dell'euro, del petrolio e delle materie prime si ripercuotono sui nostri stili di vita. Che i flussi migratori causati dai conflitti, dalle carestie e dallo sviluppo disuguale stanno trasformando le società in cui viviamo".

A tutt'oggi, un miliardo di esseri umani vive con un dollaro al giorno. Più di 3 miliardi con meno di 2,5 dollari. Un miliardo di persone non sa né leggere né scrivere. Sono stati questi sconcertanti dati a indurre Giovanni Porzio a creare un racconto in presa diretta, la cronaca di un viaggio al termine della notte lungo l'Asia, l'Africa, il Medio Oriente e l'America Latina. Obiettivo, concentrare almeno una volta i riflettori su quella parte di umanità che i mezzi di informazione e la superficie delle coscienze del Primo Mondo eludono: i bambini di Gaza senza sogni, i drogati che dormono nei contrafforti di pietra del fiume Kabul, le schiave del sesso di Dharamganj. Testimoniare che cosa significhi lo sviluppo ineguale del pianeta per tante vite dimenticate. Ma soprattutto, aiutare a comprendere i meccanismi che producono i drammi del presente, l'aumento dei costi energetici e dei prezzi dei generi alimentari, la crisi finanziaria internazionale e lo sviluppo squilibrato dell'economia globalizzata. Perché intelligenza e solidarietà possono e devono ancora prevalere, provocando un cambio di rotta radicale in un futuro improntato a una condivisione più equa dei beni primari come acqua, cibo ed energia.

 

  • Brossura: 235 pagine
  • Editore: Tropea (febbraio 2012)
  • Collana: I Narratori
  • Lingua: Italiano
  • ISBN: 978-88-558-0201-7

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Recensioni:

il Corriere della Sera

Appunti dai paesi delle tenebre

Una lunga maratona nel dolore

di ETTORE MO

L'inviato di «Panorama» Giovanni Porzio viaggia leggero. Nel suo zaino c'è l'essenziale: computer, macchina fotografica, biancheria di ricambio, mappe, qualche giornale. Ma quando rientra dalle escursioni negli angoli più remoti del mondo, la sua andatura non è più tanto sciolta come alla partenza: perché le sue scarpe, con tutto il sangue che s'è attaccato alle suole vagabondando da Gaza al Guatemala, dall'Etiopia al Pakistan, dall'India all'Afghanistan al Messico, pesano come macigni.

In Un dollaro al giorno (editore Marco Tropea) sono infatti condensate le cronache di questa lunga maratona della sofferenza umana. Il titolo è stato suggerito all'autore da un semplice dato della Banca mondiale, secondo cui un miliardo e mezzo di abitanti della Terra vive (o sopravvive) con un dollaro al giorno, mentre soltanto un terzo dell'umanità avrebbe accesso all'acqua potabile.

L'altra inesorabile calamità sono le guerre, tema che Giovanni Porzio affronta con coraggio e competenza grazie anche alla sua trentennale esperienza di war correspondent e che adesso, riferendosi ai conflitti del Medio Oriente, sintetizza in una frase: «La macchina bellica israeliana ha colpito la Striscia di Gaza con la potenza di uno tsunami».

Mettendo piede a Gaza, l'autore sa benissimo che l'attacco è costato la vita a 295 persone (civili), di cui ottantanove bambini: ma non sa che parte della popolazione della città smantellata continua a vivere entro le mura del cimitero.

«Ci siamo rassegnati alla realtà» - gli dice una signora cinquantenne, vedendolo smarrito -. « Noi dormiamo sulle tombe. Mangiamo sulle tombe. I bambini giocano a nascondino fra le tombe. Ed io ci stendo i panni ad asciugare».

Neanche in Etiopia c'è un'atmosfera idilliaca: con un reddito annuo pro capite di centosessanta dollari, il Paese figura fra le nazioni più povere del mondo: e la carestia degli anni Ottanta - la peggiore del secolo - gli ha dato il colpo di grazia. Angosciose le condizioni della gente, che abita in capanne di fango e sterco seccato, giorno e notte flagellate dagli Chellama , «i venti delle tenebre». Allo sfoltimento della popolazione ha contribuito inoltre una guerra inutile contro il Fronte popolare per la liberazione dell'Eritrea.

Due anni fa, madre natura si è accanita anche contro il Pakistan con una spaventosa inondazione che ha provocato lo straripamento dell'Indo: nell'allagamento che ne è seguito su tre milioni e mezzo di ettari sono stati travolti e uccisi duemila contadini e oltre un milione di capi di bestiame. Una vera catastrofe per un Paese dove quaranta milioni di abitanti vivono con meno di un dollaro al giorno e il cinquantotto per cento delle donne e il trentacinque per cento degli uomini sono analfabeti.

Al giornalista che aveva chiesto a un gruppo di bambini di cosa vivessero, la risposta è schietta e sconcertante: «Rubiamo e mendichiamo». Sono infatti migliaia quelli che non hanno mai messo piede in una scuola. Li trovi invece spesso nelle discariche dove scavano tra i rifiuti tossici alla ricerca di materiale riciclabile. E non sono pochi - apprendo - quelli che si accasciano stecchiti sul posto di lavoro.

Nella sua analisi, Giovanni Porzio scrive che «i problemi dell'Afghanistan impallidiscono di fronte alla polveriera pachistana» e ricorda l'assassinio di Daniel Pearl alla fine del gennaio 2002, il cui cadavere venne trovato quattro mesi dopo, decapitato. Da sempre sotto il controllo dei militari e di una «ristretta cerchia di dinastie», tra cui quella dei Bhutto, il Pakistan non è pronto per l'adozione di un sistema democratico, da cui è lontano anni luce.

Dalle pagine di Un dollaro al giorno l'India emerge coi colori cupi del Bihar, lo Stato più povero e feudale del Paese, in cima alla graduatoria mondiale per rapine, omicidi e sequestri di persona e anche per il mercato del sesso e di organi umani. I mediatori comprano una minorenne per venti dollari e la rivendono a cento per destinarla ai bordelli di lusso di Bombay. Non so quale credito attribuire all'affermazione che in Asia «le schiave del sesso» sarebbero più di un milione, né tanto meno valutare quale sia la percentuale di quelle che esercitano la professione nelle alcove indiane.

Sono d'accordo con Giovanni quando scrive che «Calcutta è sempre un pugno allo stomaco». Vagamente ricordo che Winston Churchill, dopo la sua prima visita alla smisurata, brulicante metropoli, scrisse alla madre: «Sono contento d'esserci venuto: così non ci metterò più piede per il resto della mia vita». Secondo l'Onu, dal 1980 in poi sarebbero «sparite» quaranta milioni di donne, mentre ogni giorno «vengono abortiti sette milioni di feti femminili».

Una grande crisi ha investito la campagna, dopo che il quarantanove per cento degli agricoltori (che avevano contratto grossi debiti) avevano chiuso le proprie aziende: decisione che gettò nel panico il mondo rurale e si concluse con il suicidio di quasi duecentomila contadini fra il 1997 e il 2009, con una media di diciassettemila ogni anno o, se si preferisce, uno ogni mezz'ora.

Spinto dalla sua insaziabile curiosità, Giovanni Porzio sbarca infine su tutt'altro continente, nel Centro America, e va a raccogliere, in Guatemala, le testimonianze dei «ragazzi della strada»: organizzazione fondata da Padre Gerard, un religioso salesiano di origine belga, reduce dal Nicaragua, dove aveva militato con i sandinisti e con i preti della sinistra rivoluzionaria.

All'Associazione era stato appioppato il nome angelico di «Limpieza Social», cioè «pulizia sociale»: solo che los niños de la Calle non erano i ragazzi della via Paal e ricorrevano nella loro attività agli stessi metodi brutali dei banditi: sequestri, stupri e omicidi. La media si aggirava dai tredici ai diciassette delitti al giorno: nei ritagli di tempo venivano consolati da un miniesercito di «anziane ragazze» che si contentavano della mancia. Il quarantotto per cento dei crimini era legato al traffico di stupefacenti. Le scarpe da tennis appese ai fili della luce indicavano gli antri dove si faceva spaccio di coca.

La scorribanda del collega-amico sta per concludersi. Diamo un'ultima occhiata all'Afghanistan che ho frequentato per oltre trent'anni e che - scrive Giovanni - «rimane un Paese onorato, a un passo medioevale, dove il rispetto dei diritti umani è un concetto sconosciuto». Ma a Bazarak, poco lontano da Kabul, c'è la tomba di Ahmad Shah Massud, il leone del Panshir, e per me è questo l'Afghanistan che mai sarà dimenticato. Vicino c'è pure la miniera di smeraldi di cui il grande condottiero tagiko era pure il disinteressato comproprietario e di cui non s'è mai parlato nelle nostre lunghe conversazioni notturne.

A sud c'è il nuovo Stato del Sudan meridionale, che è costato al Paese cinquant'anni di guerre e tre milioni di morti. Grande otto volte l'Italia, è popolato da 597 tribù (per un totale di quarantatré milioni di abitanti) che parlano quattrocento dialetti e, per capirsi, ricorrono probabilmente al poco inglese che conoscono. Il campo profughi di Kakuma ospita sedicimila orfani di guerra che si sfidano con kalashnikov di legno.

Ed ecco infine il Messico di Ciudad Juarez, città di frontiera dirimpettaia a El Paso dove centinaia di donne vengono regolarmente stuprate e uccise: come Silvia Rivela Morales, cui gli assassini hanno tranciato il seno sinistro e reciso il capezzolo destro. Anche per questo Ciudad Juarez è stata battezzata capitale mondiale del crimine. Nell'ottobre del '29 ci fece una capatina il capo-mafia Al Capone e una foto d'epoca ricorda il suo ingresso al Cafè Lobby col famoso borsalino in testa.

Qui, nei primi decenni del Novecento, vennero uccisi settanta giornalisti stranieri. « Pobre Mexico - esclamò più di un secolo fa il Presidente Porfirio Diaz - così, lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti».

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http://www.gliamantideilibri.it/

Un dollaro al giorno – Giovanni Porzio

di Barbara Bottazzi

Giovanni Porzio ha documentato in 40 anni di carriera con fotografie a volte toccanti, altre volte atroci o spettacolari, gli angoli più bui del nostro pianeta, che nel 2012 continua ad essere dilaniato da sanguinosi conflitti. In questo libro, che raccoglie una carrellata delle sue esperienze di inviato, gli scorci di vita quotidiana sono intervallati dalle riflessioni e dalle acute osservazioni di chi non ama essere definito inviato di guerra, bensì continua a considerare il suo lavoro una testimonianza contro la guerra.

Sotto le bombe, in mezzo a contrapposizioni etniche e religiose, nelle incertezze di una vita che si muove sul filo del rasoio, ci sono uomini e donne che vivono ai margini,  tra povertà inenarrabili, odio, violenza e degrado.

L’eco della sua professione filtra nelle pagine, autentiche sequenze cinematografiche che, a dispetto della crudezza e della drammaticità dell’argomento, ti spingono in una coinvolgente e appassionante lettura. Nell’introduzione si dà subito conto delle problematiche che caratterizzano il nostro mondo  e che sono alla base delle ingiustizie e disuguaglianze, oltre che delle moderne guerre: “ Le conseguenze della globalizzazione e dei cambiamenti climatici, i due fenomeni che più profondamente segnano l’inizio del terzo millennio, riguardano l’intera specie umana, ma incidono in modo diverso in rapporto alle aree geografiche e al grado di sviluppo economico e sociale” (p9)

Si inizia poi a viaggiare accanto a chi per mestiere ha deciso di raccontare il mondo e ci si immerge via via nella realtà di paesi distanti da noi e tra di loro, ma accomunati da un tragico destino: la povertà, la fatica di vivere con un dollaro al giorno per l’appunto.

Così ad esempio andare in Etiopia vuol dire cercare di scoprire il mistero della fame verde: in un paese rigoglioso e fertile si succedono continue carestie: “La brezza è cessata. I falchi e gli avvoltoi girano bassi sopra le case e sui marciapiedi le donne che abbrustoliscono le pannocchie scrutano ansiose le nuvole scosse dai lampi. La pioggia cade all’improvviso, scrosciando sui tetti di lamiera e in pochi istanti la strada è invasa da un fiume di fango color ocra.(…) -Acqua sprecata: non serve a niente- (…) è arrivata al momento sbagliato e non ci sono cisterne per raccoglierla” (p73)

Il Pakistan invece risulta essere  il paese più pericoloso per gli occidentali, culla di Al Qaeda e del fondamentalismo, nel quale si assiste ad un dramma ai più sconosciuto , quello del riciclaggio di sostanze tossiche: “nei cortili, nei capannoni, nei cassonetti, in strada sono accatastati enormi quantitativi di prodotti elettronici di scarto: computer, stampanti, monitor, videoregistratori, televisori, telefoni cellulari. Siamo nel cuore di una delle più grandi e inquinate discariche digitali del pianeta. Il cimitero dove si accumula l’e-waste, la spazzatura high-tech delle società avanzate del Terzo Millennio” (p96)

L’argomento è di quelli che ti colpiscono così, a freddo, come un pugno nello stomaco, ma lo stile dell’autore è agile e veloce e non cede a sentimentalismi o ad esasperazioni macabre: sono le drammatiche istantanee di parole che ci consegna a lasciare il segno.

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Agenzia di stampa MISNA

“UN DOLLARO AL GIORNO”, RACCONTI DI UN INVIATO A SUD

di Vincenzo Giardina

Tassi di crescita economica a due cifre non vogliono dire giustizia, anzi spesso vogliono dire il contrario, fame dei contadini e divario tra ricchi e poveri: è la riflessione amara che attraversa “Un dollaro al giorno”, libro di storie dal Sud del mondo dell’“inviato speciale” Giovanni Porzio.

Nel volume, edito da Tropea, ci sono viaggi in Asia, Medio Oriente, America Latina e Africa, realtà lontane tra loro ma che contribuiscono tutte a quel maledetto miliardo, il numero delle persone che secondo l’Onu vive con un dollaro al giorno.

Di paradossi in apparenza incomprensibili nel libro se ne trovano vari. Uno di questi è l’Oromia, una regione dell’Etiopia centro-meridionale dove nonostante l’abbondanza di piogge e la fertilità del suolo milioni di contadini si trovano spesso a dipendere dalla macchina degli aiuti internazionali. “Il capitolo sull’Etiopia – dice Porzio alla MISNA – è intitolato ‘Fame verde’: la mancanza di investimenti nelle infrastrutture, anche solo silos dove poter conservare le eccedenze, condanna alla miseria interi villaggi mentre a pochi chilometri aziende straniere fanno miliardi producendo fragole e rose da esportazione”.

La strada che da Addis Abeba punta a sud è punteggiata di serre con sistemi di irrigazione ultramoderni, che consumano quantità immense d’acqua. Un tesoro, scrive Porzio, che i contadini possono solo sognare: “Per il quarto anno consecutivo la tardiva comparsa e la scarsità dei kiremt, la grande pioggia, hanno rovinato il meher, il principale raccolto che da giugno a ottobre garantisce il 90% dei cereali”. Nel racconto di questo giornalista, inviato del settimanale “Panorama” dal 1979, la miopia della politica è aggravata dalle conseguenze dei cambiamenti climatici. “In Africa orientale – si legge in ‘Un dollaro al giorno’ – le precipitazioni sono influenzate da El Niño, la corrente calda del Pacifico meridionale, che sembra avere la tendenza a intensificarsi e a prolungarsi nel tempo”.

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il Giornale di Brescia

POVERTÀ GLOBALE

«Vi spiego il mestiere di vivere con un dollaro al giorno»

Giovanni Porzio ha girato il mondo per narrare l’esistenza degli uomini più miserabili del pianeta

di Andrea Grillini

Come si fa a vivere con un solo dollaro al giorno? Un dollaro e venti centesimi al giorno è la soglia della povertà stabilita dalla Banca mondiale e riguarda milioni e milioni di esseri umani. Giovanni Porzio, giornalistaescrittore, inviato di un grande settimanale in tutte le zone calde del mondo tra guerre e miseria, è autore di un saggio che, raccontando la povertà del pianeta, sgomenta e intristisce: «Un dollaro al giorno» (Tropea).

Il parametro è astratto perché ci sono molti Paesi e molte situazioni dove un dollaro al giorno è un sacco di soldi: trenta dollari al mese in alcuni posti sono una cifra da gente che se la cava abbastanza bene. «Ma anche chi vive con poco o nulla, pur non avendo una vita sociale, non è spazzatura umana», dice Porzio con tono accorato.

Quante sono le persone che vivono in condizioni estreme?

Sono un miliardo le persone che vivono con un dollaro al giorno, e più di tre miliardi con meno di 2,5 dollari. Un miliardo di persone non sa leggere, e i Paesi poveri (2,4 miliardi di persone) esportano poco più de l2% dei prodotti mondiali. Lo 0,13% della popolazione mondiale controlla il 25% delle risorse finanziarie globali. E noi occidentali non abbiamo idea di come si possa vivere con un dollaro al giorno. Eppure si vive.

Ma è possibile una povertà totale come quella raccontata nei novecapitoli del suo libro?

Ogni cosa che racconto nel libro è parte di una realtà sconvolgente. C’è la storia emblematica del contadino ridotto alla miseria in Etiopia, dove la povertà è un’industria che prospera a ogni carestia e coinvolge le istituzioni internazionali, i donatori e le organizzazioni umanitarie. Ci sono le storie dei ragazzi di strada di Guatemala City, che riescono a sopravvivere in una realtà allucinante, tra i meccanismi dello sviluppo disuguale; e poi la casa al cimitero a Gaza, le schiave del sesso in India, i ragazzi perduti del Sudan: tante realtà che hanno dell’incredibile. L’intento del libro non è soltanto raccontare storie di persone miserabili, ma spiegare il dissennato aumento dei prezzi dei generi alimentari, gli squilibri finanziari e la globalizzazione che costringe una parte crescente della popolazione mondiale a vivere ai margini della società.

Ma la globalizzazione è un bene o un male?

Non voglio dire che si stava meglio prima, anche perché gli indicatori economici e sociali globali ci dicono che gran parte della popolazione sta meglio ora. In Paesi come la Cina, il Brasile e l’India, la quota di povert è diminuita sensibilmente negli ultimi anni, grazie anche alla globalizzazione dell’economia, che ha contribuito a migliorare il livello di vita di larghe fette della popolazione mondiale, con l’aumento della crescita economica dei Paesi. Ma la globalizzazione com’è impostata oggi, crea squilibri crescenti tra sacche di popolazione sempre più ricche e zone del pianeta che restano in ombra: una zona grigia, dove la vita della gente dipende dai meccanismi economici internazionali. Questi squilibri determinano una situazione che, a parere degli economisti, è diventata insostenibile. L’aumento della popolazione mondiale a monte delle risorse che invece stanno diminuendo crea un’instabilità che provocherà disastri e tragedie.

Dall’Asia all’Africa, cosa si può fare per debellare la povertà?

Ci sono Paesi dove si possono fare progressi enormi, perché molti sono stati toccati in questi ultimi mesi dalla rivoluzione araba. Se paragono l’Egitto di oggi rispetto a quello di vent’anni fa, scopro che la globalizzazione ha aiutato le persone a entrare in contatto fra loro, ad avere maggiore coscienza dei propri diritti. Ci sono grandi aree del mondo dove, per motivi storici o economici, a causa di guerre o di regimi particolarmente repressivi, si verifica il fenomeno contrario, e c’è un degrado sempre maggiore. Questo si rileva soprattutto nelle grandi città. Il processo di urbanizzazione è un fenomeno pazzesco: in Cina 200 milioni di contadini sono sempre in movimento verso le città, che si trasformano in megalopoli, creando scompensi laceranti.

Di che tipo?

Anche di tipo culturale, perché distruggono la società tradizionale e la famiglia, che in molti Paesi poveri somiglia al villaggio o alla tribù che ti protegge anche in caso di disastri alimentari o di carestie. Per contrasto, si verifica invece un pericoloso fenomeno: fra le tante popolazioni che vivono in condizioni disperate, l’aumento del consumo di vari tipi di droga, è incontrollato. Questo si vede in Messico e in Afghanistan, un Paese dove quando c’erano i talebani la produzione di oppio e di eroina era destinata all’esportazione, (producono il 90% di tutta l’eroina consumata nel mondo). Dopo il crollo del regime talebano che imponeva rigorose leggi coraniche per il consumo della droga, oggi si assiste a un incremento folle del consumo di stupefacenti anche all’interno del Paese e questo è un altro tremendo elemento di disgregazione sociale, del degrado e delle condizioni di vita delle persone.

L’uso e il traffico di droga ha sconvolto anche la città messicana di Ciudad Juàrez?

A Ciudad Juàrez ho scoperto unarealtà al di là di ogni immaginazione. Sapevo della situazione gravissima che c’era, degli omicidi, delle lotte tra i narcos, ma vivere due settimane nella città è stata un’esperienza tra le più forti che io abbia mai vissuto. Forse qualcosa di simile l’ho vista soltanto in Ruanda durante il genocidio.

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Video intervista:

http://www.youtube.com/watch?v=cdscu4O01Ks

 

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