The military hospital
Damascus, June 2012

Giovanni Porzio – da Damasco (25.06.12)

Giovanni Porzio è uno dei pochi reporter in questi giorni a Damasco. Ecco il suo diario dalla capitale siriana.

 

Oggi le bare allineate nel cortile dell’ospedale militare Tishreen sono più di 50. Ogni mattina alle 8 la banda militare e il picchetto d’onore salutano i soldati caduti negli scontri: tra i morti anche il generale Ghassan Khalil Abu al-Dhahab, ucciso da una bomba piazzata sotto la sua auto. I feriti arrivano in continuazione e l’incerto bilancio delle vittime, tra i ribelli e le forze regolari, è in costante aumento.

 

Damasco sembra Baghdad prima della caduta di Saddam: ministeri, sedi del partito Baath e caserme nel mirino dei kamikaze sono difese da postazioni armate, cavalli di Frisia, sbarramenti e sacchetti di sabbia. Le strade di accesso sono chiuse. Gli osservatori dell’Onu hanno sospeso le ispezioni. Nei quartieri del centro la vita continua: la gente affolla il suq, i caffè, i centri commerciali. Ma è una normalità apparente. Nelle periferie si combatte strada per strada. Gli scontri si avvicinano. Ieri notte 20 morti nei sobborghi della capitale.

 

Hadi e Basel sono due giovani artisti: dipingono, producono video e installazioni multimediali. Tirano l’alba fumando e bevendo birra in un giardino della città vecchia, appoggiati al marmo di una colonna romana. “All’inizio le proteste erano pacifiche” dicono. “Ma il regime ha risposto con durezza e col passare dei mesi i gruppi islamici radicali finanziati e armati dall’Arabia Saudita hanno preso il sopravvento. Stiamo scivolando nella guerra civile. La crisi non è più nelle mani dei siriani. E’ a Washington e a Mosca”.

 

Harasta è un sobborgo popolare di 300 mila abitanti dove ogni notte si spara. I cecchini si appostano sui tetti. I militari presidiano gli edifici pubblici e le stazioni di polizia. I feriti si fanno curare da medici locali perché hanno paura di andare negli ospedali. La gente non parla. Le scritte sui muri inneggiano alla guerra santa. La postazione dell’esercito in fondo alla strada principale è crivellata da colpi di mortaio e Rpg. I negozianti si lamentano: manca la corrente e i prezzi sono saliti alle stelle. Al mercato nero una bombola di gas costa 1.600 lire siriane: quattro volte il prezzo ufficiale.

 

Da Homs, Aleppo e Idlib giungono notizie (non verificabili) di nuovi massacri. Cresce la tensione con la Turchia dopo l’abbattimento del caccia di Ankara colpito dalla contraerea siriana. Altri ufficiali hanno disertato: il pilota di un Mig-21 è atterrato in Giordania e ha chiesto asilo politico; un generale, due colonnelli e due maggiori hanno attraversato la frontiera turca. Gli insorti sono meglio armati e organizzati. Ma l’esercito di Damasco è molto più potente: una soluzione militare non è ipotizzabile.

 

Nel quartiere di Saidat Zainab è stato ucciso lo sceicco sciita Abd al-Quddus Jbara. I cristiani di Homs stanno abbandonando la città. I salafiti minacciano di rivalersi sugli alawiti. Il conflitto, esacerbato dalla propaganda, dalla disinformazione e dagli interessi geostrategici che gravano sulla regione, rischia di assumere connotati libanesi, innescando una spirale di sanguinosi scontri a sfondo etnico e religioso.